3 febbraio 2018 - 23:20

Così Luca Traini ha annunciato la sparatoria di Macerata: «Vado a fare una strage» | In cella lontano da detenuti neri

Il dente di lupo tatuato, la candidatura per la Lega (zero voti), le marce con CasaPound. Odio e simboli nazisti: lo sparatore anti immigrati espulso anche dalla palestra

di Fabrizio Caccia

Luca Traini, 28 anni, con la bandiera italiana (Afp)
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«Vuoi sapere come mi chiamo? — diceva a chi incontrava sulla sua strada — Ce l’ho scritto addosso, guarda qua…». Alla testa rasata Luca Traini è sempre piaciuto farsi chiamare «Lupo» e la scritta, in gotico nero, se l’era infatti tatuata sul collo, insieme a una croce celtica su un braccio e a un dente di lupo, il simbolo nazista, vicino alla tempia destra.
Con questi segni di guerra, raccontano in paese, era partito giusto un mese fa dalla sua casa, a Tolentino, dove viveva con nonna Ada e mamma Luisa, per prendere parte a Roma alla marcia di CasaPound, in occasione del quarantennale della strage di Acca Larentia. Braccia tese e saluti romani.

«Ho deciso di ucciderli tutti»

Luca, però, ieri aveva un altro obiettivo: sparare addosso, con la sua Glock regolarmente detenuta, a tutti i neri di Macerata, neri come Innocent Oseghale, il nigeriano accusato dello scempio sul corpo della povera Pamela Mastropietro. «Stavo andando in palestra in macchina, quando alla radio ho risentito la storia della 18enne — ha detto ai carabinieri —. D’istinto ho fatto dietrofront, sono tornato a casa, ho aperto la cassaforte e ho preso la pistola. Ho deciso di ucciderli tutti». Vendicare Pamela, questo era il suo scopo: lui che aveva avuto in passato una storia d’amore con un’altra ragazza tossicodipendente e che già da prima del massacro di Pamela, però, ce l’aveva a morte con gli immigrati, che riteneva i veri responsabili della crisi in Italia. Crisi che un anno fa gli aveva fatto perdere il lavoro di buttafuori dell’agenzia «Shark», a cui teneva moltissimo, consegnandolo a una realtà tutta diversa, lontana dai locali alla moda e i discobar di lusso — come «L’Arena delle Luci» di Cingoli dove aveva prestato servizio a lungo — e fatta invece solo di impieghi saltuari e malpagati: la security in un supermercato, la mansione di autista di un trasporto carni.

La politica e la palestra

Così, a giugno scorso, s’era candidato con la Lega alle elezioni comunali di Corridonia: foto ricordo con Matteo Salvini e tra i punti salienti proprio «il controllo degli immigrati». Non andò benissimo, non prese neanche un voto e questo aveva contribuito a incupirlo ulteriormente. Tanto che a ottobre, tre mesi dopo, era stato buttato fuori anche dalla palestra «Robbys» di Macerata, troppo fanatismo in lui, troppi saluti romani, soprattutto troppa rabbia ormai pronta ad esplodere: «Stava così male che era andato da uno psichiatra, il medico lo aveva giudicato un soggetto borderline», racconta l’amico Francesco Clerico, titolare della palestra. Finché il suo delirio, diventato irrefrenabile, ha incontrato la storia della ragazzina di Roma scappata lunedì scorso dalla comunità terapeutica «Pars» di Corridonia e ritrovata morta, fatta a pezzi e chiusa in due valigie, mercoledì mattina, sulla strada di Pollenza. Appena cinque chilometri da casa sua. «Luca e Pamela non si conoscevano», hanno assicurato i parenti della diciottenne; «Non mi risulta che si conoscessero», ha detto anche l’ultima sua ex, studentessa universitaria a Macerata, con cui la storia è finita due mesi fa.

Il caffè e l’annuncio

Ma è così che dev’essere nato il cortocircuito: una giovane tossicodipendente, come il suo vecchio amore dell’anno scorso, vittima di un pusher nigeriano richiedente asilo e con il permesso di soggiorno scaduto. E Luca Traini ha deciso di diventare un giustiziere. Quelli della rosticceria Vitali sotto casa, ieri mattina, l’hanno visto dirigersi di fretta verso il garage. In macchina, una 147 nera, ha sistemato la bandiera tricolore sul vetro posteriore, poi è salito a bordo con la Glock, una tuta mimetica, due caricatori, il porto d’armi nello zainetto, due bottigliette d’acqua e una di tè. Quindi è partito a razzo sulla superstrada numero 77 diretto in città. Ha fatto solo una sosta all’autogrill, pochi chilometri dopo, nella zona industriale di Tolentino. È entrato, ha ordinato un caffè, l’ha bevuto e poi uscendo alla barista ha detto: «Ciao, vado a Macerata a fare una strage».

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