Nel suo recentissimo messaggio al Patriarca Cirillo, Papa Francesco ha chiarito la sua posizione nei confronti della presente guerra. Ha ribadito la sua tesi che non esiste una guerra giusta. Ma bisogna capire che cosa intende il Papa con la parola «guerra». È evidente che il Papa usa la parola «guerra» nel senso di odio, crudeltà, aggressione, violenza, assassinio, strage, distruzione. Egli non si riferisce al puro e semplice uso delle forze armate di uno Stato contro quelle di un altro. E allora per forza la guerra intesa in questo senso è da condannare. Ma v’immaginare mai infatti che egli condannando la guerra, intenda dire che tutti gli Stati del mondo devono abolire le loro forze armate?
In realtà Papa Francesco non sostiene affatto, come vorrebbero farci credere i pacifisti modernisti o induisti, questo tipo di pacifismo vile ed imbelle, che nulla ha a che vedere con la cristiana mitezza, non costruisce la pace, ma è un semplice scarico di responsabilità, perche lascia l’oppresso alla mercè dell’oppressore, un popolo nelle mani di un dittatore ed impedisce all’aggredito di difendersi dall’aggressore, magari con la citazione del famoso «schiaffo sulla guancia».
Un conto è la guerra e un conto sono i crimini di guerra. La guerra non è un crimine per il semplice fatto di essere una guerra. Il crimine di guerra è precisamente la violazione della condotta che il militare è tenuto ad avere nel compimento del suo dovere di combattere per la giustizia e con giustizia.
Per giudicare dei crimini di guerra non basta quindi la pura e semplice esistenza di una guerra o di un conflitto armato tra Stati, ma occorre vedere di volta in volta quali sono i motivi, le cause, i fini, le ragioni, le modalità e le circostanze di quella data azione di guerra e della stessa guerra. Se uno Stato fa uso delle sue forze armate per difendersi da uno Stato aggressore o libera con la forza militare il popolo di un altro Stato oppresso da una tirannide o si riprende un territorio occupato da un altro Stato o difende un altro Stato oppresso da uno Stato più forte, non solo non fa nulla di male, ma fa un’opera di giustizia. Diversamente, confonderemmo gli eroi con gli assassini, le vittime con i carnefici.
La guerra è un’azione collettiva delicatissima ed estremamente complessa, di somma responsabilità, giustificabile solo per motivi gravissimi, solo per la libertà o la salvezza della patria, di gravissimo peso morale, ed incidenza sociale, coinvolgente l’intero popolo o nazione, di pura competenza dello Stato, e che può quindi solo essere indetta, organizzata, mossa e dichiarata e condotta soltanto dalle forze armate dello Stato. La cosiddetta guerra civile, per poter essere giustificata, deve in qualche modo essere ricondotta a questi princìpi, seppure imperfettamente.
Essa quindi è regolata da severe norme giuridiche – il codice di guerra -, che configurano la giusta guerra, norme che stanno a fondamento del tribunale militare. Queste norme stabiliscono gli obbiettivi da colpire, che devono essere esclusivamente militari, i doveri e la disciplina delle truppe, le azioni e le armi proibite, il trattamento dei prigionieri, le condizioni della resa e della vittoria.
Il Concilio Vaticano II ammette chiaramente la possibilità della guerra giusta:
«una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto a una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grave importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli e altra cosa è voler imporre il proprio dominio ad altre nazioni».
È qui evidente la distinzione fra guerra giusta e guerra ingiusta, giusto e ingiusto uso delle armi o della forza militare. Le parole di Papa Francesco vanno pertanto interpretate all’interno di questo quadro, che costituisce dottrina della Chiesa.
Non è vero quindi, come sostengono i pacifisti modernisti, in linea con la massoneria e l’ottimismo russoiano, che tutti i contenziosi fra Stati possono e debbono essere risolti solo per via diplomatica e pacifica. Questa è una pericolosa utopia, che, ben lungi da ottenere sempre la soluzione del contrasto, genera una vile acquiescenza all’ingiustizia subìta da sé o da altri coonestando e legalizzando l’azione dell’oppressore, ben contento di continuare nel suo crimine.
Il pacifismo modernista ignora le conseguenze del peccato originale, per le quali gli Stati tendono a compiere azioni inique a danno di un altro Stato, per cui l’autorità statale nei casi in cui non trovasse mezzi pacifici per dissuadere l’altro Stato dal recargli danno, è autorizzato a far ricorso alle armi, secondo il dettato del Concilio citato sopra.
E non è vero inoltre che Dio non voglia le guerre col pretesto che è il Dio della pace: basterebbe ricordare le guerre di Israele, narrate dalla Bibbia. volute dal Signore. Anche qui bisogna dire che non è che Dio non voglia la guerra come tale, ma non vuole la guerra ingiusta, ossia per motivi di odio, di rivalità, di dominio o di rapina.
Ma Dio vuole bensì che il debole sia strappato dalle mani del più forte, che l’oppresso sfugga alla prepotenza dell’oppressore, che lo sfruttato sia libero dallo sfruttatore, che il derubato torni in possesso di ciò che gli appartiene. E ciò spesso non si può ottenere se non con la forza.
Esiste un pacifismo cristiano che nulla ha a che vedere col pacifismo di chi si arrende al nemico o tollera la sua azione o diserta dalla battaglia. Per converso, la pace non è un semplice dato di fatto o l’infingardaggine di chi non vuole avere noie o di chi vuol peccare in pace o di chi se ne infischia delle ingiustizie patite dagli altri o di chi adula i potenti o di chi è attaccato ai propri comodi o di chi fà il doppio gioco.
D’altra parte la concezione cristiana dell’agire morale ha una chiara tonalità agonistica e combattiva accanto ad un aspetto più consueto di mitezza e dolcezza. Infatti nella visione cristiana la condotta armoniosa e pacifica non è tanto l’effetto di un’inclinazione naturale, quanto piuttosto un’ardua, faticosa e graduale conquista, è il risultato sempre imperfetto in questa vita, di una vittoria, col soccorso della grazia, su forze contrarie, che l’ascetica tradizionale designa con quattro nemici: il peccato, la carne, il mondo e il demonio. La battaglia del cristiano è innanzitutto spirituale ed interiore, ma ha anche un aspetto fisico ed esterno, sociale. E qui si può collocare il conflitto bellico.
Il cristiano ha un concetto suo proprio della pace, la vera pace, che, come insegna Cristo, non è quella che dà il mondo. Anche per il cristiano, certamente, guerra e pace si escludono a vicenda. Ma tale esclusione va intesa bene, perché in realtà per il cristiano la guerra, una certa guerra, quella appunto alla quale ho accennato sopra, può e deve servire a procurare la pace. In ciò i Romani non avevano torto: si vis pacem, para bellum.
La pace non si ottiene solo con mezzi pacifici, ma, come dice il Concilio, all’occorrenza, anche con la guerra, ossia con la coercizione o l’uso della forza. È questa la giusta guerra. È la guerra ai nemici della pace. Se questa guerra non è vinta, la pace è impossibile o è falsa. Esiste infatti anche una falsa pace, quella del mondo. Peccare tranquillamente, essere in pace con i nemici della giustizia, starsene in pace infischiandosi del prossimo, una pace esteriore senza la pace dell’anima non è vera pace. Il cristiano, invece, che combatte per la giustizia, è nella pace. (Continua)